DIO
Dopo avere ragionato sulla parola uomo, è ora necessario ragionare sulla parola dio.
Questa necessità è liberamente e piacevolmente imposta dal fatto che siamo arrivati a definire l’uomo come una creatura, o, meglio, come un astratto e chimerico e sognante manufatto della divinità. Abbiamo, dunque, strettamente legato l’umano al divino, legame che conta non poco nel gioco de Il Libro Azzurro, e quindi de Lo Splendore; gioco nel quale, del resto, il divino è stato inevitabilmente presunto non solo come oggetto ma anche come soggetto interlocutore. Avviciniamoci e osserviamo la parola. La parola dio è latina, ma ha vaste attestazioni in diverse aree di quel fantasiosissimo mostro immaginario che è l’indoeuropeo. Significa: luce, luce del giorno. I suoi concorrenti, nella nostra cultura, sono moltissimi. Prima di tutto la parola greca theòs, astrattissima, che vale per spirito; o, ancora, la parola tedesca gott, che significa spirito evocato e che, in virtù del fosco sentimento esorcistico e idolatrico che suscita, è appena meno astratta; quindi il russo bog, parola con la quale il divino viene immaginato come distributore di destino. Certamente il sentimento e il pensiero circa il divino insito nella parola latina dio trova un alleato solo nell’area semitica della nostra cultura, dove i diversi nomi di dio servono meno ad alludere alla sua ampia assenza che a nascondere, insieme al suo vero nome, la sua estrema presenza; non nominare dio significa negargli ogni immagine, cosa che si addice perfettamente all’immaginazione pura. Questa immaginazione pura è normalmente sentita e vissuta come una luce. Tralasceremo di illustrare questa identità tra immaginazione pura e luce per mezzo della troppo vasta, sentimentale e ambigua letteratura sulle illuminazioni, e porteremo il solo esempio di Eraclito quando parla di quella folgore che sovrasta tutto, di quell’intelletto intuitivo puro che è vivo nel fuggire imprendibile dell’attimo e che governa ogni cosa. È Eraclito il più sfacciato nel dirci che la perfetta astrazione dell’immaginazione pura si trova in un concreto attimo di luce, e, che anzi, questa immaginazione coincide con questo attimo e con questa luce. È questa immaginazione che, nella luce e per mezzo della luce del giorno, dà forma al creato; è questa immaginazione che, nella luce e per mezzo della luce del giorno, dà forma all’uomo. Nulla sarebbe visibile e, dunque, nulla sarebbe pensabile, e, dunque, nulla sarebbe vivibile senza la presenza inguardabile e quindi invisibile, invisibile e quindi impensabile, impensabile e quindi invivibile; senza la presenza negativa di questa luce. Bene. Siamo dunque arrivati ad affermare che questa immaginazione viva nella luce, questa luce inguardabile che rende visibile ogni cosa, è quel Dio che ci ha concepito come suoi chimerici manufatti; siamo dunque arrivati ad affermare che Dio è quell’immaginazione per mezzo della quale ogni creatura, nella luce, crea il creato, se stesso come creatura, ogni creatura e, infine, il suo creatore. Arrivati ad affermare questo, quindi, ci pare di avere completato, per mezzo del divino, la definizione dell’umano.
Testo di Pier Paolo Di Mino.
L’immagine, “Dio”, è un’illustrazione di Veronica Leffe.