DOVE SIETE
Benvenuti, siete ne «Il libro azzurro», lo specchio, o meglio gli infiniti e interminabili frammenti di specchio, in cui si riflette l’intero complesso di «Lo splendore». Infatti in «Lo splendore» è così che viene descritto «Il libro azzurro»: come un libro che muta di continuo negli occhi di chi lo guarda: e c’è chi non vi vedrà nulla, chi vi vedrà frammenti del mondo, chi l’intero mondo nel suo splendore. Ora, vi domanderete forse cosa sia «Lo splendore». È presto detto: «Lo splendore» è una cattedrale di parole che si riflette in una cattedrale di immagini, o, se si preferisce, una cattedrale di immagini che si riflette in una cattedrale di parole. È questo riflesso a costituire la cattedrale, ossia quell’ordine razionale che coincide con l’ordine razionale dell’anima del mondo. Ma, se vi avvicinate, vi diremo di più.
«Lo splendore» come cattedrale di parole: il romanzo
«Lo splendore» è un romanzo di Pier Paolo Di Mino, il cui primo volume, «L’infanzia di Hans» è pubblicato nella collana «Fremen» della casa editrice Laurana. È un romanzo, ossia quel genere di racconto promiscuo in cui è possibile trovare mescolati, così come li troviamo nella vita, storie di ogni sorta, avventurose, intime, drammatiche, comiche, orrorose, sentimentali, erotiche, quali si determinano nel viluppo delle umane ragioni, volizioni, sentimenti, pensieri. Al centro del racconto di «Lo splendore» troviamo una profezia: nel 2030 l’umanità è destinata a estinguersi se il vero re non la salverà. «Lo splendore», dunque, si presenta come un testo profetico, una storia filosofica e magica insieme, nella quale esoterismo e mito, crimine e santità, illuminazione e male, si mescolano formando una trama che si estende per generazioni, indietro nel tempo, nell’attesa di un messia che, secondo un antico mito cabalistico, inconsapevole di essere il salvatore, tratterrà la dissoluzione del genere umano; avanti nel tempo, quando compirà la sua opera. Tutti collaborano alla creazione del salvatore, che si chiama Hans Dorè: ed è bene sapere che, del resto, Hans Doré salva tutto il mondo solo se tutto il mondo salva Hans Doré. Da qui la guida costante, occulta e manifesta, conscia e inconscia di diversi personaggi: Gustav e Joseph Idel, Clea, Gérard, Hermine, Fassbinder e Bilia e Hausherr, Kaiser e, ancor più, il Libraio, e, ancora più: e, soprattutto, tre libri, che non esistono: «Acque morte», dove è nascosto il destino materiale della trama del romanzo, e del romanzo è il corpo; «Il re degli zingari», dove è nascosto il destino spirituale del romanzo, e del romanzo è lo spirito; «Il libro azzurro», dove è nascosto il destino animico del romanzo, e del romanzo è l’anima. «Il libro azzurro», è possibile a questo punto arguire, è il luogo al centro degli altri due libri inventati; è il luogo dove si riflettono le loro immagini, immagini che, nel loro insieme, costituiscono «Lo splendore»: sì, in fondo è giusto dire che è «Lo splendore» a essere il riflesso dell’insieme di riflessi che si trovano nel cuore di «Il libro azzurro».
«Lo splendore» come cattedrale di immagini: il ciclo figurativo
Dopo quanto è stato detto possiamo tornare dunque ad affermare che «Lo splendore» è una cattedrale di parole concepito secondo un ordine razionale che coincide con l’ordine razionale dell’anima del mondo. Affermare che facciamo esperienza di questo ordine nella riflessione, riflettendo ossia sui riflessi del mondo, sul modo in cui il corpo e lo spirito e l’anima delle cose riflettono l’una nell’altra, significa affermare la convinzione che solo vedere è sacro: da qui la necessità che la cattedrale di parole si rifletta in una cattedrale di immagini. È a questa cattedrale di immagini che si dedica Veronica Leffe dando corpo, ossia costruendo immagini vive, di ognuno dei frammenti di «Acque morte» e di «Il re degli zingari» così come si riflettono in «Il libro azzurro» così come si riflette in «Lo splendore», spingendo ognuno di questo frammenti di specchio a trovare posto nell’ordine di una cattedrale, di una costruzione di immagini che vivono nella materia e nella luce: è un grande gioco di immagini ferme e mutevoli, identico al gioco della vita, che appare e scompare negli impulsi elettronici delle piattaforme telematiche; in eventi interinali e improvvisi presso gallerie, teatri, orti conclusi; alla presenza di chiunque, sotto qualsiasi immagine di vita, voglia essere presente; nei sogni che vanno e vengono e si aprono alla gioia e allo strazio. È solo un gioco, come quello della vita, che continua, attraverso le figure della dissoluzione e della creazione, dello spirito e dell’umore, del continuo mutare dell’anima e della sua eternità, di Gustav e Joseph Idel, Clea, Gérard, Hermine, Fassbinder e Bilia e Hausherr, Kaiser e del Libraio, quella ghirlanda di pensieri, storie, parole, ambizioni, desideri, sentimenti nate da immagini, destinate a precipitare in un’immagine, intrecciate a formare la tradizione culturale e sapienziale che, dalle prime raffigurazioni paleolitiche fino ai giorni nostri, rispecchia e riflette l’ordine dell’anima del mondo.
In conclusione: è più sacro vedere che credere
Infine tutto diviene questa cattedrale di immagini ordinate, e si tratta solo di guardarle e vedere: perché è più sacro vedere che credere.
Per saperne di più:
"Lo splendore" di Filippo Golia su Tg2 Storie (13/11/2022)
"Il libro azzurro": intervista agli autori, di Claudia Boscolo, su "Ibridamenti"