IL SENSO DEL DESTINO
Passiamo ora al senso del destino. O al sentimento tragico della vita. Qui la cosa si fa difficile. Tutti, dalla pera a me, nasciamo con un carattere, e questo carattere è il nostro destino.
Questo destino è, dunque, possibile solo attraverso la formazione del nostro carattere. Ma quando è che possiamo dire formato, completo, locupleto, davvero finito o, se si vuole, iniziato questo carattere? Chiaro: al momento della nostra morte, ma, a volte, solo dopo, molto tempo dopo. Il nostro carattere è qualcosa che viene poi, che viene deciso solo a giochi fatti, che viene deciso soprattutto dagli altri. Anzi, che viene deciso dalla morte, da ciò che la morte farà della nostra storia. Da qui il senso tragico della vita, senza il quale quello che vivi sarà qualsiasi cosa ma non sarà la vita.
La vita, il nostro destino, è un’immagine, un’immagine che forse c’è fin dall’inizio ma che si vede solo alla fine, ma che si vede solo se è diventato un racconto. Un racconto valido, quindi, non può non possedere questo sentimento del destino, o questo sentimento tragico della vita. Ora, l’importante è che questo sentimento lo possegga il racconto. Non è necessario che lo possegga chi fa il racconto. Ricordatevi quello che dice Verga: i racconti si scrivono da soli. Voi ci mettete la fatica, va bene, ma quello si fa da solo, sfruttando la vostra fatica. Non c’è un racconto, che si possa definire tale, che non sia finalizzato a definire il destino di qualcosa o di qualcuno; a definirlo attraverso lo stile con cui questo viene mostrato dalla morte. Il destino viene definito dallo stile della morte, e, senza dubbio, anche attraverso il genere della morte: spesso la morte è una tragedia; quasi sempre è un giallo; può essere perfino una farsa o una commedia.
Ma per capire davvero questa cosa, bisogna andare a scuola dalle Parche.
L’immagine è “Atropos (o le Parche)”, dipinto realizzato con tecnica mista da Goya tra il 1819 e il 1823 all'età di settantacinque anni, direttamente sulle pareti della sua casa "La quinta del sordo" (la casa del sordo), una vasta tenuta di campagna situata su una collina nel vecchio comune di Carabanchel, nella periferia di Madrid. Contrariamente alla credenza popolare, il nome della casa non deriva dalla sordità di Goya, ma dalla stessa malattia sviluppata dal precedente proprietario. Goya acquistò la Quinta del sordo nel 1819 e al suo interno realizzò quattordici murales. La casa fu demolita nel 1909, ma i dipinti furono trasferiti su tela nel 1873-1874 e oggi sono conservati a Madrid, presso il Museo del Prado.
Testo di Pier Paolo Di Mino.
Ricerca iconografica a cura di Veronica Leffe.