ALLA STAZIONE: COMMIATO DI ANANDA SUNYA
La stazione era piena di luci, non mi ero accorto quanto buio avevo attraversato fino a quel momento; era calda, non mi ero accorto di quanto freddo avevo preso fino a quel momento; era piena di movimento, mentre prima era tutto fermo.
C’erano molte persone, e attraversavano la luce, che si muoveva, di continuo, e dava forma a tutto, ai vapori, ai rumori, alle voci delle persone, alle persone, agli oggetti che le persone maneggiavano, consumavano, si scambiavano, buttavano, raccoglievano, si portavano appresso o lasciavano dietro, e c’erano odori e profumi e lezzi diversi: e, insomma, finalmente ripresi fiato.
Non dico mi fosse calata del tutto la sbronza, e il dolore, e la paura, e la smania; anzi, mi sentivo bello stranito, storto, ma tutto sommato stavo meglio. Anche grazie alla locandiera, questa piccola Siduri, questa piccola Calipso, che mi teneva per mano, e mi si stringeva contro un fianco, strusciandosi come fa il vento contro una finestra, e mi faceva tremare un po’, ma bene, bene: era piacevole tremare a quel modo, scivolando in mezzo alla gente che scivolava per il corridoio vasto della stazione. Commessi viaggiatori, pendolari, spedizionieri, facchini, ladri, agenti di commercio, commessi, pubblicani, predicatori, preti missionari: tutto un andirivieni che non finiva mai.
Mangiamo qualcosa, mi sussurrò la locandiera, non hai fame? Il suo fiato mi entrò nell’orecchio, e da lì mi scese giù nei polmoni, e da lì mi si mise nel sangue e nel cervello, come una sera di autunno, di questo profumava il suo fiato abbagliante, ardente: mi sentivo gonfio, come quando uno è gonfio il giusto per andare alla deriva. Giusto, disse Ananda, dobbiamo rifocillarci, rimpinzarci per bene, non si viaggia a digiuno, a digiuno si sciupa l’anima, rovina lo spirito, non crolla solo il corpo: dobbiamo mangiare a quattro palmenti. Quando si entra in un posto come questo, aggiunse, bisogna subito abituarvisi mangiando il cibo adatto.
Ci fermammo a un chiosco, e una vecchia ci servì di tutto: caffè con il latte di mandorla, latte di capra (il capretto ci è morto dentro, giurò e rigiurò la vecchia), e poi frattaglie fritte, fegatelli, animelle, cuore di cinghiale, coratella di irco, pappe pepate e altri mangiarini da pultiferi. Mangiammo a sazietà, Ananda si prodigò in complimenti sperticati con la vecchia, la locandiera si limitò a dire che le era piaciuto davvero tutto, anche io avrei voluto dire qualcosa, per cortesia, ma niente, non riuscivo a spiccicare parola. Per via della piccola Siduri, della mia deliziosa Calipso, che, mentre mangiavo, aveva poggiato il suo capo sul mio petto, e aveva continuato a strusciarsi come il vento, e a odorare come una sera di autunno, e io, così, mi sentivo andare sempre di più alla deriva.
Pagammo, e ce ne andammo, procedendo lungo il vasto corridoio della stazione, che, disse Ananda, porta al treno. Non è incredibile, disse, che basta un treno, appena un treno, per arrivare in un posto che di suo non ci sarebbe, se il treno non ci arrivasse? Ci fermammo di nuovo. C’era un tizio, uno straniero, forse un turco o un persiano, in piedi dietro a un tavolinetto. Legge le sorti, disse la locandiera. Perché no?, fece Ananda, e così strisciammo lungo il corridoio vasto e liscio della stazione, e ci ficcammo davanti al persiano, o turco, che prediceva il futuro. Anche io mi dissi: perché no?, e mi feci leggere il fato con le ossicine di uccello e il destino con i dadi. Mi fece pure fare l’oroscopo, e infine Ananda insistette perché il turco, o persiano, mi facesse l’anagramma. L’anagramma è infallibile, disse Ananda, e raccontò una storia. Tutti, disse, un tempo si facevano fare l’anagramma per capire cosa ne sarebbe stato della lora vita, e c’era questo giovane che si stava per laureare in medicina, e il giorno prima della laurea che fece?, chiaro, andò da un mago e si fece fare l’anagramma, e ne venne fuori questo: ammazzi i cristiani. Disperato, il giovane, andò dal suo maestro in medicina, e pianse. Non mi posso più laureare qui, non mi posso più laureare lì. Ma perché?, gli chiese il maestro in medicina, e il giovane gli disse che bel risultato era uscito fuori dal suo anagramma. Ammazzi i cristiani, pianse il ragazzo, è uscito fuori: ammazza i cristiani. E allora, se lo dice pure l’anagramma, disse il maestro, prendi questa benedetta laurea. Ammazzare cristiani: questo facciamo noi medici. Il turco rise. Tutti ridemmo. Poi il persiano mi fece l’anagramma. Dominerai popoli, disse, e Ananda fece una faccia, una faccia che gli ho visto fare mille volte, quella di quando sta per cominciare uno scherzo, uno dei suoi raggiri a parole che, secondo lui, chi se ne lascia ingannare non è mai ingannato. Siduri, invece, era mezza addormentata sul mio braccio. Alla signorina, disse il persiano, piace il maschio che si dà arie regali. Ridemmo per l’ultima volta tutti insieme, pagammo il turco, e via di nuovo lungo il corridoio vasto e liscio della stazione.
Mentre camminavamo, Ananda si mise a parlare di nuovo di annichilimento, quello nella contemplazione e quello nella morte, e poi un altoparlante gracchiò. Al secondo annichilimento ci dobbiamo arrivare tutti, disse Ananda, re e asini. Ma al primo è obbligo ci arrivi ogni uomo, perché ogni uomo è un re. Sentii una sirena, e mi dissi che, se conoscevo bene Ananda, il suo modo di scherzare, il suo modo di confondere le cose serie con le facete, il suo modo di far girare i pensieri, era proprio arrivato il momento di partire. La locandiera mi prese per mano. Ti va?, mi chiese, e guardai, lì davanti a me, a pochi passi, fermo sui binari, un certo treno. Ma sì, pensai, verità o meno, ogni tanto bisogna cambiare aria. Almeno io devo farlo, perché, parliamoci chiaro, il fatto è che più invecchio, e meno sopporto il chiuso. Non l’ho mai sopportato, ma ora lo odio. Mi strinsi alla mia Siduri, alla piccola Calipso. Andiamo, mi disse. Mi voltai per salutare Ananda. Non c’era più. Noi Salimmo sul treno.
Nell'immagine, una figurazione di Veronica Leffe (tecnica mista su Carta).
Testo di Pier Paolo Di Mino.
Ricerca iconografica a cura di Veronica Leffe.
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