ANANDA SUNYA PARLA DELLA PREMINENZA DEL FEMMINILE
Ananda disse altre cose su Ibn Arabi, e poi a un certo punto fece: è da lui, benedetto sia il suo nome, che ho guadagnato la coscienza di due evidenze.
Non riuscivo a seguirlo. Mi sentivo triste, ma di una tristezza velenosa che mi faceva stare come portato via. All’inizio non lo capivo cosa avevo, mi dicevo che forse era il liquore all’anice, o il freddo, o la pioggia: era una tristezza mai provata prima, e non capivo a cosa era dovuta; ma poi no, poi ci arrivai: era Ananda. È diventato vecchio, pensai.
Era questo a mettermi tristezza. Era seduto davanti a me, curvo, e stanco, e parlava lento, come fanno i vecchi. Perché lo era. Ananda era diventato vecchio. Tutto qui. E mi chiesi come dovesse essere perdere le forze, provare dolori tutto il tempo, e i capelli che imbiancano, e poi li perdi, e la pelle che si secca, e poi si secca anche la carne. E i ricordi? Come era avere tutti quei ricordi, ricordi di cose che non ci sono più, non torneranno mai. E i lutti?, e le speranza lasciate a metà?, e il rammarico? Che cosa tremenda è un rammarico. Pensai al rammarico, al rimpianto, alla nostalgia, alla perdita, alla sconfitta, all’abbandono, insomma a tutto il dolore che deve provare un vecchio guardandosi indietro, e poi pensai al dolore che ha davanti, un vecchio, che più che un dolore è una paura: anzi, è la paura: anzi, è lo spavento estremo, è l’orrore, quello che fa drizzare i peli, quello che acceca, quello che annulla la mente. Il corpo che si sfascia brano a brano fino a lasciare nuda la parte molle e saniosa dell’essere umano; il corpo che si sfalda e sfarina fino a ridursi a nulla, e quindi la morte, che non c’è niente da dire sulla morte, solo che è niente: e mette orrore. E così, per calmarmi i nervi, mi ripetei vigliaccamente quella cosa vuota e inutile che si è inventata Epicuro: quando c’è la morte non ci siamo noi, quando ci siamo noi non c’è la morte; e mi dissi che, quanto alla vecchiaia, però uno, da vecchio, diventa saggio, e sa un sacco di cose. Quello che uno sa da vecchio, mi dissi però subito dopo, è solo che tutto è perduto, che ormai si deve morire. Pensai alla bellezza. Da vecchi si perde la bellezza, mi dissi, e mi venne quasi da piangere, come un bambino.
Mi accorsi che Ananda mi guardava, e sorrideva. Da Ibn Arabi, stava dicendo di nuovo, ho guadagnato la coscienza di due evidenze. Prima di tutto che è necessario non legarsi esclusivamente a un solo credo, così da non avere fede in nient’altro, altrimenti perderai un gran bene, e peggio, mancherai di riconoscere la verità. Nella vita bisognerebbe fare solo questo: non mancare mai di riconoscere la verità. Giusto?, mi chiese. Annuii, anche se non è che lo stavo proprio a sentire.
I vecchi, stavo pensando, perdono la bellezza, ma non possono perdere il sentimento del bello. Deve essere tremendo amare qualcosa di bello, una donna, per esempio, e non potere essere ricambiati. Deve essere orribile provare desiderio, e non essere più giovani, che, quando si è giovani, tutto si muove e brilla, e devi soltanto andargli appresso, e basta un bacio rubato per conoscere tutta la bellezza del mondo, che strazia, che gonfia nell’anima il dolore e lo stupore; basta un solo bacio, un bacio improvviso, per conoscere nella forma finita delle cose tutto quanto, che poi sei senza fiato, e non sai più che dire e che fare, ti tieni mano nella mano con lei, e camminate così, come attraverso una tempesta.
La seconda evidenza, stava dicendo ora Ananda, è questa: quale che sia la dottrina filosofica alla quale si aderisce, si constata, quando si specula sull’origine e sulla causa, l’anteriorità e la preminenza del Femminile. Il Maschile è collocato tra due Femminili. Adamo sta tra l’Essenza divina da cui procede, ed Eva che procede da essa. Senza questa coscienza mai mi sarei potuto salvare dalla miseria, ossia dalla fame e dalla solitudine che comporta non amare le donne. Tutte le donne?, chiese la locandiere ad Ananda. La pioggia: ora il rumore della pioggia era così forte che pareva piovere dentro il locale; e pareva che lo stillicidio rovinasse la luce purpurea che ci avvolgeva. Certo, rispose Ananda, e la locandiera rise, si portò una mano alla bocca, e rise, e poi disse: sei proprio un eterno fanciullo.
[continua]
Nell'immagine, una figurazione di Veronica Leffe (tecnica mista su Carta).
Testo di Pier Paolo Di Mino.
Ricerca iconografica a cura di Veronica Leffe.
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