L'ULTIMA VOLTA CHE VIDI ANANDA SUNYA
L’ultima volta che lo vidi, Ananda mi parlò di Luz. Mi era venuto a trovare senza preavviso, come ha sempre fatto da che lo conosco.
Abbiamo bevuto un caffè con il latte di mandorle, a casa mia, e poi siamo usciti. Non mi va di stare al chiuso, mi ha detto, e ci siamo buttati per strada, faceva freddo, ma non troppo, i marciapiedi erano pieni di immondizia, ma non più del solito, e pareva non esserci nessuno, l’ora era sospesa fra il giorno e la notte, e Ananda camminava lento, pareva stanco, e pensai che ormai doveva essere vecchio, camminava lentissimo, ma parlava veloce, passando da una cosa all’altra, come fa lui, Ananda parla così, fa sbattere le parole le une contro le altre, le tira fuori dalla bocca veloce, manovrandole con le mani, che muove in continuazione, che le fa ballare nell’aria come foglie dentro il vento, e mi parlava del chiuso, diceva che non sopportava il chiuso, e poi eccolo con la storia della baracca al freddo e al gelo, una storia che mi ha ripetuto mille volte, che era cresciuto in una borgata di periferia di non so quale città, ogni volta ne diceva una diversa, dentro una casa, una baracca, al freddo e al gelo, dove la notte dormiva in uno sgabuzzino senza finestre, mai capito se questa storia fosse vera o meno, con Ananda non lo sai mai quello che è vero o falso, e sai, mi disse, più invecchio e meno sopporto il chiuso.
All’improvvisò si alzò il vento, che rigò l’aria, e trascinò via nel cielo nembi, cirri, cumuli e tutto quanto, e ora si vedevano la luna e le stelle lente e incerte. Entrammo (Ananda mi tirò per un braccio e mi fece entrare) in un posto aperto, una bottega di vini e oli, una taverna, non so cosa, che non avevo mai visto prima in vita mia, dove una donna, una cameriera, o magari era la proprietaria del posto, non lo so, ci fece accomodare a un tavolo e ci chiese cosa volevamo. Ho fatto la zuppa, disse, posso portarvi la birra. Ma no, niente zuppa o birra: Ananda voleva mangiare qualcosa di più sostanzioso, e la birra non l’ha mai sopportata. Fai la brava, disse alla donna, e ordinò un liquore all’anice, un liquido pastoso che sapeva di vernice, o di mirra; una broda alcolica dall’odore pungente e dorato che si metteva alla gola e levava il fiato. Insomma, la donna portò il liquore, e, non so Ananda, ma io mi ubriacai subito, ci eravamo scolati in due minuti secchi una bottiglia, senza battere ciglio, una bottiglia intera, e, allora, Ananda chiamò indietro la donna per ordinarne un’altra. Mia Siduri, disse Ananda, mia Calipso, fai la brava, portane ancora, e quella, la donna, rise, e ora, a vederla ridere, mi sembrò una ragazzina. All’inizio mi era sembrata una donna anziana, e ora, invece, era una ragazza di venticinque anni, o, più probabilmente, di venti. Ma bisogna dire che ero bello ubriaco.
Fuori cominciò a piovere. Ananda attaccò a raccontarmi un sogno. Il mio professore di filosofia del liceo, mi stava dicendo, mi annuncia che la scuola ora è davvero finita, e mi regala le sue monete da lucidare. Capisci?, mi chiese. E come no!, e poi Ananda mi parlò di Luz. Disse: si trova tra Buṣrā e Aḏri‘āt, dove, scrive Ibn Arabi, è spuntata una fanciulla di quattordici anni come fosse una luna. Sono parole sulle quali tutti dovremmo meditare molto, mi fece Ananda, specie chi si dedica al mestiere di evocare, per quanto sia possibile, la verità con le parole. E poi mi raccontò: fu proprio Luz che cercai di raggiungere, quando, compiuti i diciotto anni, avendo capito, dopo un’attenta riflessione, di non possedere particolari talenti, e che difficilmente avrei impiegato la mia esistenza in qualche attività utile e proficua, decisi di dedicarmi appunto al mestiere delle parole e della verità. Essendo nato in una famiglia indigente, non mi spaventava l’eventualità della miseria, eppure il mio viaggio aveva prima di tutto lo scopo di addestrarmi a resistere alla fame e alla solitudine che comportano certe scelte. Partii senza soldi, portando con me soltanto “Il libro dell’annichilimento nella contemplazione” per usarlo come manuale pratico e sostegno morale. La donna, la cameriera, la locandiera, quello che era, si sedette al tavolo con noi, e pensai che sembrava una ragazzina di quattordici anni.
[continua]
Nell'immagine, una figurazione di Veronica Leffe (tecnica mista su Carta).
Testo di Pier Paolo Di Mino.
Ricerca iconografica a cura di Veronica Leffe.
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