È PIÙ SACRO VEDERE CHE CREDERE - LO SPLENDORE #5 - UNA PAROLA CHE HA PRESO CORPO
Clea Idel confonde il mezzo con l'oggetto. L’errore è tanto comune quanto fatale.
Del resto, se Clea avesse ben distinto fra mezzo e oggetto (se avesse giudiziosamente distinto mezzi e fine e oggetto) il suo errore sarebbe stato ugualmente comune e fatale: è impossibile, infatti, ottenere un oggetto perseguendolo come fine attraverso dei mezzi dal momento che un oggetto è sempre un oggetto ontologico, mentre mezzi e fini sono privi di ontologia. Possiamo addirittura affermare che l’oggetto, quando cade nel meccanismo dei fini e dei mezzi, viene privato di ontologia. La soluzione, però, non è certo fuggire nell’astrazione, magari cercando l’oggetto con l’oggetto: non so, cercando la salvezza con la salvezza. Davvero allora forse non sbaglio se continuo a affermare che si esce dal problema solo concentrandosi nella ricerca, possibile o impossibile che sia, di un oggetto in cui materia e ontologia siano inestricabilmente avvinti in un’unità di significato: posto, per esempio, che nello «Splendore» la salvezza sia lo splendore, lo splendore non dovrebbe allora essere una parola che ha preso corpo? Che dire? Gli arcani sono semplici: mangiare, bere, fare l’amore, e infine morire; ma gli uomini sono complicati. Ed è dunque nostro mestiere rendere visibile l’invisibile, perché solo vedere è sacro.
Nell’immagine, “Sant'Anna insegna a leggere alla Vergine Maria”, terracotta dipinta, realizzata tra il 1825 e il 1830 da Giovanni Putti, Collezione privata (Foto © Museo Risorgimento Bologna | Certosa).
Testo di Pier Paolo Di Mino.
Ricerca iconografica a cura di Veronica Leffe.