È PIÙ SACRO VEDERE CHE CREDERE - IL LIBRO AZZURRO #146 - QUANDO EMPEDOCLE VIDE LO SPLENDORE
Empedocle vide lo splendore: correva, gonfiando l’aria di un brivido pauroso fra le spighe frementi del grano, e i papaveri tumidi, e gli asfodeli e i gigli che nascevano, morivano, nascevano, e faceva un suono, quello tormentoso e costante di un rombo, e rifletteva così a terra il silenzio, la musica perfetta delle stelle, e un toro, possente e magnifico, usciva dalle acque di una fonte condotto da una giovane fanciulla.
Da queste parti, pensò Empedocle, a lungo la gente ha chiamato questa dea tremenda, così bella da togliere il fiato, lei che sa dare la morte per bacio, con il nome di Arianna o di Persefatta, e il dio che conduce con il nome di Dioniso o di Ade, perché il giorno è opposto alla notte, e la notte al giorno, e questo avviene solo essendo e il giorno e la notte una sola medesima cosa: una sola cosa comune, che è come un punto vuoto, che unisce tutto, e tutto rende vivo; ma oggi la gente è più debole e tutto questo non lo può più vedere, sentire, provare, capire, le membra e l’anima degli uomini ora sono delicate e fragili e molli e marce, il loro cuore è così duro che, quando trema, e trema sempre, si spezza facilmente, e per questo inventano scuse e sillogismi e protocolli logici per darsi pavidamente al commercio, e si scambiano denaro, e, per denaro, umiliano sé stessi e gli altri, e uccidono e fanno guerre, e spargono carestie e pestilenze. E così, pensò Empedocle, per mostrare loro questa sola cosa comune che unisce tutto, e tutto rende vivo, come nelle nozze sacre fra la fanciulla e il toro, inventerò e reciterò una nuova storia, e chiamerò questa ultima religione: democrazia.
Nell’immagine, pinax con Ade e Persefone, proveniente da Locri, databile tra il 1199 e il 600 a. C., oggi conservato presso il Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria (Foto di Fabien Bièvre-Perrin, licenza CC BY-SA 4.0, tramite Wikimedia Commons).
Testo di Pier Paolo Di Mino.
Ricerca iconografica a cura di Veronica Leffe.