È PIÙ SACRO VEDERE CHE CREDERE - IL LIBRO AZZURRO #12 - IL FUOCO DI PROMETEO
L’amore è un fuoco e necessita di un’arte del fuoco per rimanere vivo. Ma un fuoco è sempre lo stesso? No. Basta guardare al mito greco dove i fuochi sono sempre diversi.
C’è il fuoco di Estia, per esempio, che è il fuoco che va sempre tenuto in vita dentro le mura domestiche private e quelle collettive della città. Quello di Estia è il casto fuoco della concentrazione, ed è il fuoco che usiamo quando dobbiamo attendere a quel tipo di amore che chiamiamo dovere verso gli altri. C’è il fuoco di Afrodite, che ci spinge tanto alla procreazione quanto ai più celesti piaceri dei sensi. C’è il fuoco di Ares, che dà impulso a ogni nostra azione. Ci sono tanti fuochi. Quello di Efesto, di Saturno, di Ade. C’è anche il fuoco di Prometeo, però. Ma questo fuoco è diverso, perché non ha nulla a che fare con l’amore, o con il piacere, o con la necessità. Non ha nulla di reale e astronomico. Nulla di divino. È, del resto, un furto agli dèi. Un furto compiuto in nome del bene e della giustizia; del bene collettivo e della giustizia superiore; della perfetta suddivisione in parti uguali; della stecca para; dell’acribia ragionieristica; del gusto pelvico per le regole; dell’umanesimo sentimentale; del lavaggio della lingua: un atto puntiglioso e pieno di accorata onestà da parte di un titano contro la proterva casta divina. Prometeo, incatenato, si dichiara martire: chiama a testimonianza tutti: io ho fatto solo il bene. Il bene di Prometeo è la carne che ci ha reso mortali e il bisogno di lavorare che ci ha reso schiavi: il suo bene sono secoli e millenni di sfruttamento e dolore insensato.
L’immagine è "Prometheus", olio su tavola di Arnold Böcklin, realizzato nel 1882, Collezione Barilla d'Arte Moderna (Foto da Google Arts & Culture).
Testo di Pier Paolo Di Mino.
Ricerca iconografica a cura di Veronica Leffe.