TULLIO PERICOLI, LA CASA IDEALE DI ROBERT LOUIS STEVENSON*
Tullio Pericoli ha di certo sentito l’esigenza di trarre dagli scritti di Stevenson, e quindi di illustrare, questo piccolo e fondamentale trattato sulla casa, pensando prima di tutto alle esigenze degli architetti. Questo libro, tuttavia, piacerà anche ai lettori non specializzati. La casa, infatti, tanto vissuta come metafora quanto come fantasia materiale, è una delle figure più care dell’anima umana.
Su questo punto è immediatamente chiaro il dettato di Stevenson, e lo è ancora di più la riscrittura di Pericoli.
La casa ideale di Robert Louis Stevenson, infatti, come mostra in maniera inequivocabile il percorso puntuale delle sognanti immagini di Pericoli, parte da una premessa fondamentale. In forma attenuata questa premessa può essere espressa dalle parole di Sendivogius per il quale «il più dell’anima è fuori dell’uomo». In maniera più robusta potremmo però anche affermare che l’anima individuale è solo un’eccezione interinale, e quindi tragica e meravigliosa, all’anima del mondo. Un’eccezione di cui dobbiamo tenere conto, ma che non può essere il nostro principale interesse.
Questo è quanto si sbriga subito ad affermare Stevenson, soffiando la sua voce sulle colline e sui cataloghi di alberi e sulle terre pettinate e i corsi di acqua disegnati da Pericoli: per costruire una casa, il primo passo, è cercare il silenzio e l’acqua. Dopo il silenzio e l’acqua vengono le piante, le colline, le parole leggere fra gli alberi e le chiose degli uccelli che li abitano, il rapporto, esprimibile solo con i numeri irrazionali e con lo spavento, fra la luce e il trascorrere dei desideri, l’avvento delle speranze e il rigoglio sempre maggiore dell’ombra e delle verzure che la fingono. Dunque, tutte queste cose qui che ognuno, se vuole, conosce, e che sarebbero il mondo, o la sua anima. Solo a questo punto, quindi, quando è abbastanza chiaro che la casa deve derivare dal mondo ed essere nella sua anima, o quando è forse addirittura chiaro che la casa è in realtà fatta a maggiore beneficio del mondo e della sua anima, come sua eccezione tragica e meravigliosa, si può pensare, ma per ultima cosa, anche a costruirla.
Questa premessa da sola è una lezione che nessun architetto dovrebbe trascurare di imprimersi a memoria nell’immaginazione. L’architetto che, però, aspiri davvero a capire cos’è una casa e come debba essere costruita nella migliore delle maniere, deve considerare fondamentali anche le istruzioni che seguono questa premessa.
Dunque, ora la voce di Stevenson soffia sugli arredi sontuosi immaginati da Pericoli: interni luminosi redimiti di frutti diversamente peccaminosi (si va dalla fragola alla mela passando per il melograno), comodi salotti dove si consumano di continuo, con promiscua foga, momenti di illecita letteratura, e studi concepiti per offrire asilo a carte geografiche abolite, e dove si allineano i pennini e i pennelli che ci hanno attratto al mestiere da bambini. Sono paesaggi da interno non meno spaziosi di quelli che ci hanno condotto nella casa. Di fatto, ora, siamo entrati nella casa, che, dice Stevenson, deve essere prima di tutto un labirinto. In questo labirinto, se non ci fa velo una qualche superstizione funzionalista, possiamo trovare ordinatamente tutto. A cominciare dai corridoi stessi, che costituiscono l’elemento portante di questo labirinto, e che devono essere dotati di scaffali a parete pieni di libri, in maniera tale che l’intera casa altro non sia che un’unica grande libreria. Ogni stanza, dunque, non può ora che offrire le più grandi possibilità immaginali. Le sale, irregolari e piene di recessi dove nascondersi, avranno come unico arredo enormi divani, che, se comodi (ci assicura Stevenson), sono occasioni di viaggi imperdibili. La sala da pranzo deve suggerire la Francia e Canaletto. Per gli studi avremo due diverse occasioni: lo studio femminile, che è in realtà un santuario arcano, e quello maschile, dove si studia geografia. Quindi, c’è la palestra, per preparare il corpo alle migliori fantasie. E, infatti, abbiamo di seguito la camera da letto. La camera da letto è vuota e bianca. E questo non va spiegato, perché la camera da letto è il luogo dove si sogna e si ama, e non è un bene che qui, quindi, ornamenti e immagini e libri impediscano quel processo immaginale che si dà solo in assenza di immagini. Questa potrebbe sembrare una mistica da boudoir, ma Stevenson era prima di tutto un uomo pieno di passione, ed era, inoltre, avventuriero per vocazione: gli era, dunque, impossibile concepire mistiche inferiori.
Lo si capisce dai suoi occhi, che Pericoli ci mostra grandi e buoni mentre guardano, o meglio contemplano pieni di abbandono e desiderio, il mondo e la casa che vi ha costruito dentro. Questi occhi sono il centro del libro.
Questi occhi, che guardano tutto (e nel cui riflesso tutto si guarda), però, in fondo non sono soltanto di Stevenson.
Pericoli, in questo piccolo libro, ci mostra Stevenson tre volte. Una volta lo vediamo attraversare la casa come di nascosto: perché una casa, come il mondo, va attraversata. Una seconda volta, invece, siamo con lui mentre, questa casa, la pensa. Infine, vediamo Stevenson da dietro, la sua nuca, come se vedessimo la sua mente, o attraversola sua mente, nell’atto di creare questa casa.
Quando, però, Pericoli ci mostra gli occhi grandi e buoni di Stevenson che contemplano pieni di desiderio il mondo e il modo in cui la sua casa vi è dentro, quello che ci mostra davvero non è soltanto lo sguardo di Stevenson, ma quella continua contemplazione che fa del mondo una creazione, o, per dirla diversamente, un sogno o un romanzo che non richiede finale.
Pier Paolo Di Mino
Illustrazione di Veronica Leffe
*L'articolo e l'illustrazione sono apparsi originariamente su TerraNullius, nella rubrica “La Biblioteca Essenziale”.