LA BELLEZZA È PROVOCAZIONE
La bellezza è provocazione. Provoca la verità. Provoca il bene. Non ha senso parlare di bellezza, se questa non è provocante.
Pensiamo a quanto ci insegna Boccaccio in quella famosa novella del Decameron. C’è un uomo. Ha per le mani una bella storia, una storia piena di intelligenza e sagacia, una storia capace di suscitare meraviglia, capace di fare muovere le statue e di raddrizzare i torti. Ha una bella occasione per raccontarla: una passeggiata, in una giornata fresca, in compagnia di una dama graziosa. Ma l’uomo perde l’occasione, deturpa la storia, deprime la dama. Perché? Perché non è capace di raccontare quella storia, che pure rimane bella, di suo è bella, ma lui niente, non la rende provocante: la rende deprimente. Boccaccio, invece sì, lui sapeva rendere provocante qualsiasi storia, e sapeva tutto della bellezza, dell’amore, delle donne. Del resto il suo libro è, nell’intestazione, dedicato a tutte le donne, che sanno le cose d’amore: Boccaccio intende per donna l’anima umana. L’anima che vuole sempre provare amore, e, attraverso l’amore, conoscere il piacere del proprio essere.
Nell'immagine, dalla prima novella della VI giornata de Il Decameron di Giovanni Boccaccio, "Madonna Oretta accetta il passaggio di un cavaliere; Oretta scende da cavallo", miniatura realizzata intorno al 1430 dalla Scuola del Maestro del Duca di Bedford, manoscritto conservato a Parigi, presso la Bibliothèque Nationale de France, Fr. 239, f.170r. (immagine rilasciata con "Licence Ouverte/Open Licence", tramite BnF).
“Madonna Oretta” dice il cavaliere, “quando voi vogliate, io vi porterò, gran parte della via che a andare abbiamo, a cavallo con una delle belle novelle del mondo”, intendendo, così, che la bellezza della storia le avrebbe alleviato la fatica e la noia del viaggio. Madonna Oretta accetta l’offerta e il suo compagno di viaggio inizia a raccontare, ma è talmente maldestro con le parole che rovina tutti gli effetti della trama. Oretta, non potendone più dallo strazio, gli chiede di lasciarla continuare la passeggiata a piedi, dal momento che il cavallo da lui fornito per alleviare la fatica, cioè la novella, si è rivelato poco efficace: “Messere, questo vostro cavallo ha troppo duro trotto; per che io vi priego che vi piaccia di pormi a piè”. Il cavaliere comprendendo l’allusione, accetta senza offendersi il suggerimento, passando ad altre novelle e lasciando perdere quella storia cominciata tanto male.
Testo di Pier Paolo Di Mino
Ricerca iconografica a cura di Veronica Leffe.