L'UOMO, MA SECONDO ISIDORO
È meno doveroso che bello, dopo avere osato un nostro ragionamento sulla parola “uomo”, godere da vicino il metodo di Isidoro di Siviglia esercitato proprio su questo tema per noi inevitabilmente totalizzante dell’essere ciò che siamo non potendo essere altro.
Isidoro alla voce dedicata all’Isagoge di Porfirio, dopo avere nella voce precedente illustrato come la filosofia sia un metodo per ragionare in maniera felice finalizzato al conseguimento di un modo di vivere felice, mostra in quale modo un ragionamento possa essere considerato valido al punto tale da coincidere con la realtà, e ci dice che una definizione qualsiasi di un oggetto qualsiasi consta sempre di quattro parti sostanziali più una quinta eventuale, decorativa e accessoria: la prima è il genere, la seconda è la specie, la terza è la differenza, la quarta è la caratteristica peculiare, e la quarta è l’accidente. Esempio di genere, afferma dunque Isidoro, è l’animale, che indica una cosa molto generale, essendo una definizione, questa, valida per tutto ciò che ha anima. Esempio di specie è l’uomo. Con la parola uomo si vuole specificare un essere distinto dalle altre cose animate. L’uomo dunque è una specie appartenente al genere animale. Siamo una specie, non un genere. Non esiste qualcosa come il genere umano. Proseguiamo, e osserviamo come Isidoro passa a parlare della differenza dicendo che nell’uomo questa si individua nella sua razionalità, essendo l’unico animale razionale, e nella mortalità, esistendo creature come gli angeli che non muoiono mai. Quindi, ci dice Isidoro, abbiamo la caratteristica peculiare che, nell’uomo, è la capacità di ridere. L’uomo è dunque quella specie animale che, diversamente dagli animali, ragiona, e che, diversamente dagli angeli, muore, e in più ride. Forse, ride proprio grazie al fatto che possedendo la ragione può ragionare sulla propria mortalità, tema che fa saltare solitamente i nervi al punto tale da rendere ottimi umoristi. Infine, Isidoro ci dice anche che si può aggiungere a questa definizione qualcosa di accidentale, non necessario, che non conta nulla, tipo l’età dell’uomo o il colore della sua pelle o la sua condizione sociale. E così abbiamo dunque che l’uomo è quella specie animale intelligente, profonda e spiritosa, che ride, e che puoi incontrare in questo o quel formato fisico o sociale, o non so cosa, senza che questo formato incida su di lui. Se incidesse, del resto, sarebbero guai. L’inconsistente, allora, avrebbe valore sul consistente, e tutto andrebbe in malora: se un uomo, ci spiega Isidoro, definisce se stesso, per esempio, per il colore della propria pelle, o per l’evenienza di parlare una lingua anziché un'altra o di praticare questa religione e non quella, si affiderebbe a una definizione casuale e perderebbe i propri connotati essenziali: non sarebbe più un uomo.
L'immagine è il ritratto di Monna Lisa, anche noto come Gioconda, eseguito da Leonardo da Vinci nel 1503-1504, oggi conservato al Museo del Louvre di Parigi.
Testo di Pier Paolo Di Mino
Ricerca iconografica a cura di Veronica Leffe.