UOMO
Dopo avere ragionato sul metodo, dunque, possiamo passare alla sua divertita applicazione. Cominceremo con la parola “uomo”.
Cominceremo con l’uomo, che, nel gioco de “Il Libro Azzurro”, e quindi de “Lo Splendore”, è stato inevitabilmente presunto non solo come oggetto ma anche come soggetto interlocutore. La parola, di origine latina, è legata alla famiglia di “humus”, e definisce l’uomo come creatura terrena, terrigna, ma anche come umile ovvero bassa, posta ovvero in basso, sotto il cielo; per quanto in realtà e nello specifico sia posta fra cielo e terra. Questa definizione è largamente attestata anche fuori dalla lingua latina e non costituiscono davvero dei concorrenti le definizioni di area armena e greca, che vede nell’uomo l’essere mortale contrapposto agli dèi immortali, e nemmeno quelle di area germanica e indiana che vede nell’uomo colui che dispone di una mente. Per quanto riguarda le altre lingue strettamente costitutive della nostra cultura e collettività, l’ebraica e l’araba, ancora non usciamo da questa definizione, ovvero dalla definizione che ci vede fatti di terra facilmente degradabile e, proprio per questo, felicemente modellabile: che ci vede come creature e, quindi, se si vuole, come opere d’arte. Ma andiamo oltre. La parola uomo, anche al vaglio di quanto affermato prima, si presenta prima di tutto come parola estremamente, forse oltraggiosamente, astratta e adattabile. Infatti, se la parola uomo designa la creatura terrestre, cosa non è uomo fra quanti abitano la terra? Insomma, stando alla parola, non basta dire che sia uomo (o, come dicono gli scienziati, che appartenga alla razza umana) chiunque, sia esso maschio o femmina, di questa cultura o di quella nazione, di questa etnia o di quel villaggio, chiunque, dunque, abbia il vezzo di parlare, fare guerre, scrivere poesie, tradire gli amici e ragionare di amore da solo al tramonto: bisogna dire che è uomo anche ogni animale, vegetale, minerale, così come lo è qualsiasi altro oggetto e pensiero componga disparatamente, e talvolta disperatamente, l’organismo della realtà. Sia detto chiaramente: la variante germanica e indiana, sicuramente concepita in un’età di giovanilistici e selvaggi entusiasmi dialettici e logici, non vale a specificare e differenziare nulla: dire che l’uomo ha una mente è descrivere esattamente la costituzione propria di ogni cosa del mondo, possedendo ogni cosa una mente, e possedendola il mondo nel suo insieme. Cosa ricaviamo dunque da tutto questo? Che l’uomo, data la vastità della parola che lo designa, è un’astrazione, o forse anche un concetto chimerico; e che chimerico e astratto, dunque, è perfino il suo essere terrigno. È un sogno, ecco l’uomo è un sogno, e, come ogni sogno, prima o poi passa. Cosa dire, dunque, se non che tutto questo, alla fin fine, si addice bene a un’opera d’arte?
Testo di Pier Paolo Di Mino
L'immagine, "Uomo", è un'illustrazione di Veronica Leffe.