DIONISO E L'ARCHETIPO DELLA VITA INDISTRUTTIBILE
Dovremo soffermarci ancora su Kerényi, il cui rilievo nella bibliografia sottesa nel gioco de Il Libro Azzurro, e quindi de Lo Splendore, non si consuma certamente né con l’elenco delle sue opere né con i ragionamenti che in questa sede ci sono permessi, e che valgono appena come richiami resurrettivi per gli umori della nostra coscienza di suoi lettori.
Non potremo, in altri termini, essere del tutto completi; il che, direbbe Thomas Mann, rende la cosa forse non del tutto interessante: la nostra speranza, quindi, si chiude nel piccolo orizzonte di offrire qualche stimolo sentimentale e razionale, qualche suggestione valida per più ampie intellezioni. Parleremo del suo Dioniso, libro che, nel nostro lavoro, che fonda il suo organismo su legami non necessariamente evidenti fra diverse parti, ora virtuali ora concrete, ora narrative ora largamente riflessive, ora figurali ora letterarie, e via dicendo, costituisce una sorta di inconfutabile decretale metafisica. È il Dioniso di Kerényi, diciamo dunque, ad averci rivelato questo modello organico insito nella vita così come ci si mostra ancora oggi, malgrado tutto, malgrado il terribile silenzio degli oracoli, malgrado la fuga degli dèi e la vanità che essa ha aperto in questo mondo. Il Dioniso cretese, sposo di Arianna, la grande dea. Il Dioniso taurino il cui grande zoccolo, nell’incedere, rendeva folli di desiderio le donne. Il punto vuoto immaginale in cui immergersi per ritrovare il mondo pieno di immagini come è all’altro capo di una via, o di ritorno da una via che, percorsa incessantemente avanti e indietro, è sempre la medesima. L’altro di ogni cosa. Il più straniero. La vita eterna e, dunque, la morte. La morte, e, da essa, la vita. L’archetipo della vita indistruttibile. Il legame, dunque, non necessariamente evidente, di ogni cosa del mondo. Il dio che crea e suscita nell’ebbrezza terrore. Il terrore. Quel terrore (e questo, in tempi di piatta furia totalitaria e cieca idolatria del normale e dell’identico, dovrebbe essere preso davvero come suggestione per più ampie intellezioni); quel terrore allacciato alla meraviglia, quel terrore e quella meraviglia della vita, da cui, diceva Platone, dovrebbe nascere la più organica delle idee di Stato.
Testo di Pier Paolo Di Mino.
Ricerca iconografica a cura di Veronica Leffe.