I CAPRICCI DI ACHILLE
Perché abbiamo conservato la storia eroica e tragica di Achille fino ai nostri giorni? Perché cari ci sono i buoni avvertimenti.
Disse ad Achille suo padre Peleo: “Figlio mio, Atena ed Era la vittoria daranno, se vogliono; ma tu il cuore orgoglioso frena nel petto, giacché è meglio essere miti” (Il. IX, vv. 254-258). Ma sua madre Teti, che lo aveva reso invincibile tenendolo per un tallone dentro un calderone (così, dicevano i medici greci, si occlude la vena che dal piede porta al desiderio e all’amore) lo destinò ad altro, come ci rivela Achille stesso (Il., IX, vv. 410-416): lo destinò alla gloria a tutti i costi. Bisogna rendere orgogliosi le mamme, e, infatti, nell’“Iliade” si parla di Achille e della sua furia. La furia contro Agamennone che gli ha rubato Criseide, o Briseide, nessuno dei due ha mai capito bene chi o cosa fosse di preciso l’oggetto della contesa. Un capriccio. Un capriccio per il quale puntare i piedi, e congegnare un inutile massacro. L’“Iliade”, ancora oggi, ci avverte dei mali che vengono da una ragione ridotta alle petulanti ragioni dell’io (io, io, io: questa fastidiosa zanzara), dei mali che vengono da una ragione infantile, la ragione di un eroe tale e quale lo ho valuto la mamma. L’“Iliade”, ancora oggi, ci avverte dal pericolo di essere Achille, e di andare alla guerra contro il parere del padre, per compiacere la madre, e i suoi bisogni materni e materialisti, e trovare la morte prima di essere riusciti a diventare adulti.
L’immagine è “Efesto dona a Teti la corazza che ha forgiato per Achille”, Kylix, 490-480 a.C. conservato presso l’Antikensammlung di Berlino
Testo di Pier Paolo Di Mino.
Ricerca iconografica a cura di Veronica Leffe.