ODISSEO A SAMOTRACIA
È un fatto forse scordato, o non più evidente, oggi, che nessuno può vivere se non in virtù di una di quelle lunghe concatenazioni di immagini e pensieri
ben concordati che solo una narrazione espansa attorno a un’idea sufficientemente luminosa, sufficientemente capace di gettare luce sulla nostra realtà ci può offrire. Di solito sono narrazioni come queste che vengono conservate a beneficio delle nostre vite. Perché abbiamo conservato la storia avventurosa e amorosa di Odisseo fino ai nostri giorni? È evidente che Odisseo, e il lungo e tortuoso racconto che coincide con la sua mente, con il complesso labirintico della sua immaginazione, rappresentano ancora oggi per noi un prezioso modello iniziatico e di vita. È in questo modo, del resto, che leggono, forse per la prima volta, le vicissitudini dell’uomo dal multiforme ingegno i neoplatonici. Odisseo, nella speculazione del tardo platonismo, diventa, infatti, l’uomo per eccellenza o, meglio, l’uomo tipo, il modello di ciò che un uomo non può non essere: come tutti, va alla guerra, che altro non sarebbe che la vita; fa ritorno da essa, ossia muore; e trova nell’antro delle ninfe l’occasione di una nuova incarnazione. Sono idee tarde e molto orientali. In realtà, forse, il re di quell’isola, Itaca, che in greco suona più o meno come l’isola dei furbi, un’isola non inospitale nei confronti di Ermes, è l’eroe di un’iniziazione completamente mercuriale. Nell’isola dei Feaci, così come sarebbe potuto accadere a Samotracia, Odisseo confessa la sua storia e la guarda, in questo modo, da fuori, mettendo a nudo, nelle imprese della sua guerra e nelle ingegnose trovate per vincerla da lui messe in atto, il potenziale capriccioso e infantile della psicopatia connessa alla ragione. La sua ragione diventa del tutto mercuriale. Da giovane, senza perdere nulla della sua gioventù, può diventare vecchio. Ancora nel Rinascimento il sogno della realizzazione della divinità nell’uomo coincideva con il mito psicologico del puer-senex.
Le immagini sono incisioni realizzate da Adolfo De Carolis per l'edizione de L'Odissea di Omero, nella traduzione di Ettore Romagnoli, pubblicata da Nicola Zanichelli Editore, Bologna 1926.
Testo di Pier Paolo Di Mino
Ricerca iconografica a cura di Veronica Leffe