IL LIBRO AZZURRO E I SUOI LABIRINTI
Pier Paolo Di Mino e Veronica Leffe raccontano, attraverso un dialogo, il lavoro per "Il libro azzurro"
Pier Paolo Di Mino: Ma l’amor mio non muore raccoglie storie di donne illustri, figure dell’anima, nella finzione di una lezione cabalistica tenuta da maestro Achiba al fine di spronare gli uomini e le donne a seguire le severe leggi dell’amore. Ma l’amor mio non muore è il primo capitolo de Il libro azzurro. Sto per introdurvi in un labirinto, perché, a sua volta, Il libro azzurro è un libro, inesistente, di cui si parla in un altro libro, che si intitola Lo splendore, un romanzo che sto ancora scrivendo, nella cui lenta e faticosa scrittura sono ancora immerso.
Il libro azzurro ha un ruolo fondamentale, quasi portante, nella narrazione de Lo splendore. Qui viene descritto, appunto, come un libro azzurro. Non è un titolo: è solo una descrizione. La sua caratteristica è di essere prevalentemente costituito da immagini, ma, ancora di più, a caratterizzarlo è il fatto che il libro cambia nella percezione di chi lo guarda. Ogni persona vi vede una cosa diversa. Inoltre, cambia secondo il variare delle situazioni. Probabilmente, una stessa persona lo vedrà di volta in volta diverso con il mutare della sua percezione del mondo. Lo splendore intreccia molti personaggi e molte storie tra di loro, e, nel farlo, varia, assecondando le diverse esigenza narrative del momento, stili e generi letterari differenti: questo vale ancora di più per Il libro azzurro, che è come una sorta di specchio ingrandente dell’intero romanzo proprio a motivo della sua caratteristica di arcana mutevolezza. Anche Il libro azzurro, dunque, varia stili e generi in continuazione, di capitolo in capitolo. In Ma l’amor mio non muore, per esempio, la cui narrazione è completamente calata in una fantasia cabalistica, abbiamo a che fare con un genere specifico e caratteristico della tradizione ebraica: l’haggadah. L’haggadah è un compendio di omelie rabbiniche che incorporano il folclore, gli aneddoti storici, le esortazioni morali e i consigli pratici, e che spesso usano l’espediente di variare storie bibliche intervenendo su quanto il testo sacro non dice. Anche le donne raccontate nel primo capitolo de Il libro azzurro sono sottoposte allo stesso trattamento letterario affinché, inserite nel contesto di una narrazione che lega in una cornice dal significato non passivo, quello di una lezione filosofale sull’amore, il significato delle loro vicissitudini umane e immaginali prendesse una determinata inclinazione.
Veronica Leffe: Nel realizzare i ritratti delle donne di Ma l’amor mio non muore, il mio difficile e delicato compito era quello di incarnare, attraverso tante e diverse immagini disegnate, un preciso principio universale: quell’amore o desiderio che, appunto, non muore mai. Per far questo ho usato una strategia non troppo dissimile da quella che Pier Paolo messo ha in atto attraverso la scrittura: ho seguito anche io una tradizione artistica, facendomi guidare dalle sue regole esatte. Per certi aspetti, quindi, il mio compito si presentava molto diverso da quello di un illustratore: si trattava, non tanto di seguire il significato letterale dei testi di Pier Paolo, o di realizzare per essi un commento figurativo, ma piuttosto di tener conto dell’aspetto simbolico del suo racconto, penetrarne il significato filosofico, intercettare il suo corrispettivo immaginale. Un compito questo, più simile a quello dello scrittore di icone o del pittore rinascimentale che a quello dell’artista contemporaneo. Cosa voglio dire con questo? Cerco di spiegarmi meglio. Nella tradizione pittorica bizantina, lo scrittore di icone era colui che, seguendo i precetti tramandati dalla tradizione dell’ortodossia religiosa, scriveva le icone sacre: il suo compito non era quello di esprimere sé stesso o la sua idea personale di arte attraverso uno stile particolare e originale, ma di intercettare, e fissare sulla tavola, attraverso un canone tradizionale, fisso, quegli elementi formali che meglio si avvicinavano alla realtà degli elementi divini che aveva il compito di rappresentare. Seppur con canoni estetici del tutto diversi, molto simile a questo tipo di procedimento, fu in realtà anche il lavoro svolto dai pittori del Rinascimento italiano che, sulle loro tavole, dovevano tradurre in immagini i principi divini veicolati dalla cultura filosofica del Neoplatonismo. Anche questi pittori, dunque, lavorando gomito a gomito con i filosofi e i poeti del loro tempo, dovevano seguire un’immaginazione molto esatta: pensiamo ad esempio a Botticelli che lavorò spesso con personaggi come Marsilio Ficino o Angelo Poliziano. La sua “Primavera” è una delle opere più emblematiche di questo procedimento artistico, procedimento in cui l’artista non è davvero libero, ma lavora condizionato principalmente dalla necessità di rappresentare, attraverso una precisa immagine, un esatto principio metafisico. Sulla scia di questa tradizione, anche io ho cercato di lavorare scendendo molto in profondità per raggiungere quella dimensione immaginale esatta e riportare, poi, sul foglio, nel modo più fedele possibile, quella parte di realtà ‘divina’ che ero chiamata a rappresentare con i ritratti delle donne raccontate da Maestro Achiba: i tanti aspetti di un amore che non muore mai.
Pier Paolo Di Mino: Il libro azzurro, soprattutto, ci ha imposto un gioco. Un gioco serio, come nella tradizione del ludere serio rinascimentale. Questo gioco consiste nel tentativo di riprodurre l’estrema mutevolezza che, nella narrazione de Lo splendore, caratterizza Il libro azzurro. Non disponendo di particolari tecnologie magiche, dunque, il gioco si è risolto nella nostra immaginazione congegnando un modo diverso da quelli canonici di pubblicare il libro, di renderlo pubblico. Separato dal contesto in cui è nato, abbiamo cominciato a fare vivere Il libro azzurro attraverso una serie di eventi che, man mano, ne modificano la forma e specificano il senso. In questi mesi di esperienza, meno di un anno, Il libro azzurro ha cambiato vari formati, ha modificato i suoi testi e le sue immagini. Ora il numero delle donne protagonista di questa récite filosofale sta aumentando, e le loro figurazione si arricchiscono di colori che le stanno rendendo sempre più carnali e presenti. Questo processo avrà fine quando saremo stanchi di procedere oltre, e tutto ci dirà di dovere passare al secondo capitolo. Queste mutazioni le dobbiamo al processo di pubblicazione. Possiamo grosso modo parlare di tre diversi tipi di pubblicazione. Il primo, per così dire orizzontale, prevede la stampa del libro e, quindi, la sua presentazione in luoghi pubblici, librerie, biblioteche, gallerie, teatri. È attraverso il rapporto con il pubblico, nello scambio dialogico di idee e impressioni che seguono normalmente questi incontri, che il libro trova nuovi stimoli di cambiamento. Il secondo è questa stessa pagina, la pagina Facebook alla quale vengono affidate una serie di note bibliografiche e di riflessioni concernenti il lavoro in fieri de Il libro azzurro. Una pagina facebook, come tutto il linguaggio telematico, può essere intesa come un esito ultimo di quell’ermeneutica postmoderna per la quale il lacerto è rivestito di un significato venerabile in maniera idolatrica a discapito del contesto, del continuo, del coerente, del profondo. Inserire una narrazione articolata in un sistema logico come questo, un sistema che vieta la logica, significa vedere ogni significato disintegrarsi. La serie di paradossi inerti con cui mi sono espresso ora, può già indicare da sola, quindi, quanto questa pagina offra alla elaborazione del libro. Prima di tutto questa pagina è un correttivo per un pensiero narrativo che è tentato dal sistema e, quindi, anche dal dogma: è come lanciare un pensiero fisso, forse persecutorio, e vederlo tornare indietro cambiato sotto molteplici aspetti da tante persone quante sono quelle che ne sono venute a contatto. Il paradosso insito in questo aspetto del gioco è lo stesso dell’essere quando deve trovare la propria conferma nella negazione del divenire. Infine il nostro gioco si completa grazie a una terza modalità di pubblicazione, che, però, non è giusto chiamare in questo modo, dal momento che non è svolta in presenza di pubblico alcuno. Li chiamiamo “Gesti”, e coinvolgono luoghi, i loro geni, o fantasmi, quegli spiriti magni, come li chiamava Vico, che ci parlano nelle notti insonni. I risultati di esperienze come queste, portare il nostro libro e le sue immagini in luoghi segretamente abitati dal divino o davanti a figure ideali, ha effetti sull’elaborazione del libro meno evidenti da riferire.
Veronica Leffe: Le varie modalità di pubblicazione de Il libro azzurro permettono all’artista di occuparsi, attraverso una serie di gesti di natura anche molto diversa, di tanti aspetti che non riguardano solo la produzione delle immagini da inserire nei vari capitoli del libro. Alla pubblicazione editoriale de Il libro azzurro si lega ad esempio il gesto artigianale compiuto per la realizzazione delle copertine del volume. Ogni copertina de Il libro azzurro è dipinta a mano, per cui ognuna di esse avrà in sé un piccolo difetto, magari una sbavatura, che la farà essere lievemente diversa da tutte le altre. Ma se l’artista accetta di compiere un gesto che lo obbliga al confronto con lo sbaglio, non è tanto per la necessità che il libro risulti più prezioso. È vero che per via di quello sbaglio esso diventa in qualche modo un oggetto unico, ma quello che ci interessa non è la prospettiva data dalla riflessione di Walter Benjamin, secondo la quale la riproduzione seriale e industriale di un oggetto ne sminuisce il valore. No, quello che ci interessa è ricollegarci alla prospettiva, all’ottica di quegli artisti che, come nel Medioevo o nel Rinascimento, sbagliavano di proposito, magari sbeccando un angolino della scultura o dando una pennellata maldestra sulla tavola, perché per essi solo Dio non sbaglia mai. Un aspetto diverso di pubblicazione de Il libro azzurro è quello che si compie attraverso l’inserimento di contenuti sulla pagina Facebook e, quindi, sul sito. Le riflessioni e gli appunti bibliografici che qui trovano spazio e che un domani faranno parte della pubblicazione complessiva e definitiva del libro, sono scritti da Pier Paolo, mentre io mi occupo di selezionare le immagini che accompagnano questi contenuti. Quello che mi orienta nella scelta di queste immagini è un atteggiamento che si discosta da quello dello storico positivista, il quale inserisce le immagini prevalentemente in un percorso progressivo, ed è lontano anche da un approccio post-moderno, per il quale si possono usare le immagini scollegandole completamente dal contesto storico e culturale. Quello che mi orienta nella scelta delle immagini è un pensiero, un’idea comune che collega tra loro in una stessa prospettiva anche immagini molto lontane cronologicamente e culturalmente, una prospettiva che, fondamentalmente si ricollega all’orizzonte della tradizione culturale della Filosofia d’amore, della Cabala, del Neoplatonismo, una prospettiva che definirei umanistica. Un’altra modalità di pubblicazione de Il libro azzurro, come accennava anche Pier Paolo, si concentra sull’idea di inventare dei gesti che portino di volta in volta gli elementi e i contenuti del libro (in questo caso le donne di Ma l’amor mio non muore), a interagire con spazi fisici simbolicamente significativi. Questi gesti si caratterizzano però in modo molto diverso da quei gesti orizzontali che portano Il libro azzurro a interagire con il pubblico, come avviene ad esempio durante le presentazioni, oppure durante le performance che necessitano della presenza di un pubblico. Questi altri gesti invece, nascono appositamente per creare un rapporto speciale con alcuni luoghi e a questi sono dedicati esclusivamente, oppure si ricollegano a situazioni astratte, e hanno un valore in sé e avvengono in assenza di pubblico. Un esempio è il gesto che abbiamo voluto creare a Firenze, nella Biblioteca Laurenziana mettendo in relazione la nostra Ildegarda con quella storica, attraverso il collegamento con un antico codice, di cui lei fu autrice, che era presente in quel luogo. Questi particolari gesti si oppongono alla prospettiva avanguardistica dell’arte contemporanea e nascono dall’esigenza di superare i procedimenti dell’Arte Concettuale novecentesca, malgrado all’apparenza sembrino riferirsi proprio ad essa: sosteniamo infatti che tutta l’arte è concettuale. Questi gesti aspirano a recuperare una tradizione universale, quella che, dalle antiche pitture paleolitiche all’arte rinascimentale, vede la necessità di realizzare gesti che partono dalla concezione di un’idea fondamentale, e precipitano nel mondo attraverso procedimenti artistici che contemplano anche la scelta accurata dei luoghi dove realizzarli.
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Capitolo primo - "Ma l'amor mio non muore"