GESTI #2 - VERSO OSTIA - OSTIA, 20 MARZO 2019, SULLA SPIAGGIA
Mentre ci avvicinavamo al Teatro del Lido di Ostia per allestire la mostra dedicata a Ma l’amor mio non muore, primo capitolo de Il libro azzurro, il rapporto fra la terra e il mare, o forse la forza evocativa del nome Ostia, ci hanno invitati a fermarci per compiere un gesto. Queste parole e queste immagini ne sono la testimonianza.
Ci fermiamo un attimo. Abbandoniamo la macchina e raggiungiamo il pontile. Il pontile di Ostia sembra un interminabile discorso interrotto con il mare. Un discorso segreto, probabilmente, perché Roma odia il mare. Roma ha sempre odiato il mare. Roma aveva paura del mare. Questa paura era una sorta di luogo comune metafisico e archetipale condiviso anche dai primi greci, le cui città, lo si può notare a Midea come a Micene, erano costruite sempre in modo di non dovere guardare il mare, di non doverne sentire il richiamo. Il richiamo, parola che in greco suona come la parola bellezza. Una bellezza che travolge con seducente grazia e severa intelligenza femminile. Il mare evoca evidentemente questo, mentre ammaestra con le sue proporzioni, con l’astuzia geometrica del suo orizzonte, con la magnificenza algebrica delle sue onde, alla realtà fisica dell’invisibile. Evoca qualcosa di femminile: Afrodite. Afrodite che ammala l’uomo della peggiore pazzia, quella che snerva la ragione, sottrae ai doveri, svuota i lombi: l’amore. Le sirene, che con canti nefasti e sacri, perdono l’uomo.
Sacro. È sul liminare fra mare e terra che pare debba succedere qualcosa di ominosamente sacro. Sempre. Qui il sacro è sempre in agguato. Sembra che un sacrificio sia perennemente in procinto di essere compiuto. Ci vuole un’offerta, dunque. Una vittima sacrificale. Ovviamente: un’ostia. Oggi, dunque, ci sembra di dovere scempiare il significato del nome di questo luogo fisico (Ostia, in realtà, è un nome che significa porta del fiume) per viverlo meno fisicamente che metaforicamente come il luogo propizio dove compiere un gesto. Lo stesso scempio etimologico, la tramutazione di questa terra sul mare in un’ostia; lo stesso stravolgimento metaforico è stato compiuto qui a Ostia, è stato compiuto per mezzo di Ostia, anni fa da Sergio Citti e Pier Paolo Pasolini. Anche per loro Ostia è diventava la metafora marina e venerea di un sacrificio. Nel film “Ostia” si narra la vicenda stereotipica ed eterna di due fratelli, Bandiera e Rabbino. Bandiera e Rabbino sono due piccoli ladri che vivono la folie à deux di un loro personale, infantile e farsesco paradiso anarchico finché nella loro vita non compare misteriosamente una donna bellissima e fatata, Monica, che interrompe il loro monotono trantran edenico e li induce a una lotta con inevitabile assassinio finale da parte di uno ai danni dell’altro. È il mito di Caino e Abele, che, in non poche varianti del racconto biblico, le più antiche, non lottano per Dio ma per una donna. La storia di Caino e Abele, raccontata con diversi nomi e modi in tutte le parti del mondo (si legga al proposito Storia di Lince. Il mito dei gemelli e le radici etiche del dualismo di Claude Lévi-Strauss) è diventata una struttura mentale (potere della letteratura) e lo stravolgimento di questo racconto, di questa struttura mentale, è al centro della narrazione de Lo splendore e, ancora con maggiore e più partecipata precisione, del Il libro azzurro, che de Lo splendore è la lente di ingrandimento, e dove il femminile è al centro radicale di tutto, così come lo è oggi al centro del gesto che, mentre ci avviciniamo al teatro compiamo. Un piccolo gesto sacrificale al mare.
Un gesto non è un’astrazione dal mondo, ma un piccolo salto fatto mentre lo attraversiamo. Dopo, si ritorna a casa, una casa che appare diversa, così come ora ci appare diverso, un momento diverso di civiltà, il Teatro del Lido di Ostia, lo spazio fisico efficiente e fattuale di una narrazione virtuale che collega e connette parole, immagini, gesti, idee, incontri, persone; un’ecclesia nella quale la teatralizzazione, così come è dai tempi fuori dal tempo in cui Dioniso e Apollo hanno cominciato a scambiarsi i loro messaggi muti in codice binario, è il modo ottimale dell’estroversione orizzontale, dell’espressione collettiva di quella rappresentazione oscura, intima, sotterranea, infera della realtà che coincide con il processo immaginativo.
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